di Roberto Fiorini
Improvvisazioni notturne della malinconia in fase di accordatura Beyer, questo è il titolo del nuovo disco del musicista Fabio Strinati e pubblicato con l’etichetta discografica RadiciMusic Records di Terranuova Bracciolini.
Melodie che nascono sul momento; note che s’assottigliano al tocco magico d’una melanconia frutto d’una sofferenza a lungo meditata.
Il pianoforte, come strumento terapeutico, unica strada per una guarigione spiritualmente eterna.
Improvvisazioni notturne che conducono Fabio Strinati alla composizione di meravigliosi pensieri/emozionali, una invisibile tela di ragno dove la malinconia stende la sua ragnatela grigia ricordandoci quei luoghi dove fummo felici e da dov’è fuggita la felicità.
In fondo la malinconia e la felicità sono come due persone che fingono di non conoscersi e si incontrano di continuo ad appuntamenti segreti.
Ecco, le composizioni di Fabio Strinati ci ricordano che la malinconia è il più legittimo tra tutti i toni poetici e musicali.
Una malinconia che nasce dalla grandezza, una progetto musicale seducente che conduce l’ascoltatore all’estasi.
Fabio Strinati (classe 1983) è un poeta, scrittore, esperantista, agricoltore e compositore talentuoso e poliedrico.
Ha pubblicato anche poemetti, preghiere e aforismi.
Debutta come poeta nel 2014 con il libro “Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo“.
È presente in diverse riviste e antologie letterarie: da ricordare “Il Segnale“, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini; la rivista “Sìlarus“, fondata da Italo Rocco; il bimestrale di immagini, politica e cultura “Il Grandevetro“; la “Gazeta Dielli” e “451 Via della letteratura della scienza e dell’arte“.
Sue poesie sono state tradotte in romeno, in bosniaco, in spagnolo, in albanese, in francese e in inglese, mentre in lingua catalana è stato tradotto da Carles Duarte i Montserrat ìe in lingua croata dalla poetessa Lierka Car Matutinovic.
È inoltre il direttore della collana poesia per le “Edizioni Il Foglio” e cura una rubrica poetica dal nome “Retroscena” sulla rivista trimestrale del “Foglio Letterario“.
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“Tutto ciò che è finito, tutto ciò che è ultimo, desta sempre naturalmente nell’uomo un sentimento di dolore, e di malinconia” ci ricorda Giacomo Leopardi.
Fabio Strinati ha ben chiare le tre cose necessarie per essere un buon pianista: la testa, il cuore e le dita.
Non cede mai alla tentazioni di inutili virtuosismi.
Prima di iniziare ad ascoltare le composizioni di Strinati pensa ad un pianoforte.
I tasti iniziano.
I tasti finiscono.
Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti.
Non sono infiniti, loro.
Le note sono infinite dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi ascoltare.
Loro sono 88, i tasti, le composizioni di Strinati sono invece infinite perché si percepisce che sa benissimo che la vita non è mai in bianco e nero.
Fabio appoggia le mani sui tasti del suo pianoforte e non fa altro che cercare colori e sfumature.
Il pianoforte è in grado di comunicare le più sottili verità universali attraverso il legno, il metallo e l’aria vibrante.
Essere un pianista e un musicista, non è una professione.
È una filosofia, una concezione di vita che non può basarsi né sulle buone intenzioni, né sul talento naturale.
Bisogna avere prima di tutto uno spirito di sacrificio inimmaginabile.
Fabio Strinati è un pianista ed un musicista, ma anche un poeta straordinario.
Come ricorda Giovanni Allevi “adora il pianoforte perché in esso sublima la sua imperfezione“.
Citando ancora Allevi a cui le composizioni di Strinati sono dedicate “il pianoforte reclama l’abbandono: esso non vuole essere suonato, ma è lui che vuole suonare tramite il pianista. L’esecutore abbandonato al suo strumento diviene egli stesso strumento, in un gesto impersonale e per questo totale, e la Musica, misteriosamente, inizierà a sgorgare, fresca e leggera“.
L’Anima è un pianoforte con molte corde, l’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare.