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Solo Biden può sostituire Biden: che succede se il Presidente rinuncia alla candidatura?

C’è stato un momento – mentre Biden arrancava, con la voce bassissima, preso da troppi dati e troppi lapsus – in cui Donald Trump ha accusato il Presidente degli Stati Uniti di voler legalizzare l’aborto anche “dopo la nascita del feto”. Ma l’accusa di futuro infanticidio è rimasta sommersa dal “disastro Biden”. Il primo dibattito televisivo delle presidenziali Usa s’è trasformato in un incubo per i Democratici. E il “day after” in un minestrone di ipotesi emergenziali. Che succede adesso? Che facciamo? Rivoluzioniamo la campagna elettorale o assistiamo inerti al possibile trionfo di un Trump bis? Uno scenario da “Defcon 1”, come l’ha definito David Plouffe, stratega Dem ed ex funzionario della campagna di Obama.

Tanto per cominciare nessuno può “sostituire” Joe Biden se non… Joe Biden. Il candidato alla presidenza passa per le primarie, nel sistema americano. Anche i presidenti in carica. Biden ha stravinto quelle dei Democratici (come Trump quelle dei Repubblicani) acquisendo il diritto di correre per restare alla Casa Bianca. La sua nomina sarà ratificata dai delegati che parteciperanno alla convention in programma tra il 19 e il 22 agosto a Chicago.

Non esiste alcun obbligo legale per i delegati di votare per la persona che ha vinto le primarie, ma viene chiesto loro di votare in un modo che “in tutta coscienza rifletta i sentimenti di coloro che li hanno eletti”. Insomma c’è una sorta di vincolo morale. La convention potrebbe non votare la fiducia a Biden, ma sarebbe la prima volta che un partito politico statunitense tenta di farlo.

Biden può però decidere di fare un passo indietro, di ritirarsi. E’ l’unica vera ipotesi che potrebbe innescarne altre, con un effetto domino.

Se Biden dovesse ritirarsi prima della convention, i delegati sarebbero chiamati a scegliere senza vincoli un altro candidato, non per forza tra i precedenti rivali di Biden alle primarie e non per forze l’eventuale nome indicato dallo stesso Presidente. C’è un solo ingombrante nome sul tavolo: Kamala Harris.

Ma l’attuale vicepresidente non solo potrebbe essere scavalcata a sorpresa da un nome nuovo, ma soprattutto rischierebbe di bruciarsi la candidatura nello scontato balletto politico interno ai Dem a pochissimi mesi dalle urne.

Secondo Nicholas Kristof, noto editorialista politico Usa, Biden dovrebbe lasciare spazio ad altri, suggerendo come possibili outsider la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, il senatore dell’Ohio Sherrod Brown o Gina Raimondo.

Harris resta la scelta più probabile, ma partirebbe con grosso distacco da recuperare, minata dalla sua stessa poca popolarità, oltre che dal precedente “disastro” Biden. Anche Harris ha però finora appoggiato incondizionatamente il suo Presidente, e così hanno fatto gli altri esponenti di spicco del partito, da Gavin Newsom a J.B. Pritzker, da Andy Beshear a Gretchen Whitmer.

Se invece Biden decidesse di governare l’impasse per aspettare la convention, e poi si ritirasse a candidatura protocollata, allora scatterebbe una diversa procedura: una volta consultati i governatori e i parlamentari del Partito Democratico, la scelta andrebbe ai 483 membri del Democratic National Committee. Anche in quel caso il nome in pole position è solo uno: Kamala Harris.

Resta un’ultima linea d’azione, la più drastica, aperta per Biden: dimettersi dalla presidenza. Renderebbe Harris presidente. Ma in ogni caso non la renderebbe automaticamente la candidata democratica per il 2024.

Fonte
Agenzia DIRE
www.dire.it

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