venerdì, Novembre 22, 2024

Arte e avventura. Leo Castelli e Ileana Sonnabend, una coppia che inventa il mestiere del gallerista “pop”

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Gli anni ’60 sono un decennio entusiasmante, carico di sperimentazione, musica e anti convenzionalità.  New York è al centro del mondo.

Nessuna città è in grado di starle dietro, perché ad essere coinvolta in questa straordinaria stagione è proprio tutta la città. Dunque non c’è strada che non abbia un luogo di ritrovo per gli artisti, né quartiere o bar risparmiato. Insomma, in luoghi come questo, il futuro è sempre pronto a diventare presente scavalcando i confini tra il prima e il dopo. In questo momento indossa minigonne e stivali alti, profuma di lacca per capelli, vive dentro case arredate con mobilio di fòrmica e soprattutto mangia zuppe in scatola ascoltando dischi in vinile ad alto volume.

Si racconta che al Village, in un locale chiamato Cedar Tavern, il progresso odori di sandwiches, di marijuana e di sesso pronto al consumo. Il tutto ovviamente, è condito con trementina ed effluvi di pittura ad olio. Questi tardo-bohemmien o “scapigliati” che dir si voglia, quando dipingono sono dei veri e propri iconoclasti. I critici parlano d’espressionismo astratto ma non è solo pittura: sono tutti qui perché ciò che vogliono è uno stile di vita e ciò che bramano è il cercarlo. Pertanto, prima d’essere uno stile, questi Sixties sono un pensiero di libertà carico di aspettativa, curiosità e speranza.

Sono anni e vite frenetiche, piene di alcol, di scelte eccentriche e creatività. Sono vite intessute da scandali e disgrazie e i protagonisti si chiamano Jackson Pollock, Willelm de Kooning, Robert Rauschenberg, Roy Lichtenstein, Andy Wharol. Uomini geniali, sempre di fretta, innovativi ad ogni costo e poi sovvertitori dei propri risultati e quindi ribelli anche con sé stessi. In una parola: rivoluzionari. La loro è pittura d’azione perché è l’azione che amano più di qualsiasi altra cosa. Azioni di corpi che danzano insieme ai colori, in gesti ampi con pennelli tutti da inventare.

Questi uomini producono opere d’arte nelle quali compaiono immagini di un mondo talmente vero da sembrare finto. Poi continuano la loro carriera con altre opere dove è la finzione a sembrare realtà. Non tutto dipende da loro: sono i tempi che stanno cambiando. Fuori dai loro atelier c’è una società di giovani che scalpita. Accanto a quelle agitate relazioni familiari nascono quindi il Neodadaismo, la Pop Art, l’Astrattismo… insomma tutta arte sperimentale di fronte alla quale ogni appellativo artistico sarà solo un assegnare un nome a cose che non abbiamo sperimentato e che vogliamo canalizzare.

Un’energia espressiva incontenibile che ci farebbe comodo imprigionare in una parola. Una parola che non potrà contenere il fatto che invece questi artisti, scrittori, musicisti e teatranti sono tutti qui, in questa New York che bolle, a dipingere, bere, fumare e parlare mille lingue, come capita spesso agli artisti che vivono in città come questa. Molti sono scappati dai loro paesi perché oppositori politici e altri sono lì per paura dell’assurdità europea, come accade ai tantissimi ebrei. Gli altri cognomi europei, ormai sono americani.

Tra coca cola in bottiglie di vetro, Ketchup e pollo fritto c’è una coppia così raffinata e impeccabile, da sembrare un cammeo. Lui si chiama Leo Castelli e ben presto sarà soprannominato il Re Mida dell’arte. Ebreo nato nella Trieste ancora austro-ungarica e crocevia di culture, appena può sceglie il cognome della mamma.

Lui però è figlio di un colto e intelligente banchiere ungherese dal cognome impronunciabile che gli insegna a girare il mondo. Porta con sé, ovunque si trovi una o due caratteristiche molto personali: prima di tutto Leo è elegantissimo, come può esserlo un abile ballerino di tango, e poi è un gran conversatore e infallibile seduttore come sa esserlo un cosmopolita. Lei è Ileana Schapira. E anche lei cambia cognome.

Da quando ha aperto la sua galleria si fa chiamare Sonnabend. Ileana è rumena, miliardaria e ovviamente bellissima. Entrambi comprano opere d’arte e frequentano gli studi di artisti sconosciuti. Tirano su dagli scantinati giovani senza nome né fama, parlando con loro, litigando o ascoltando. Quando si sposano sono galleristi famosi. Ileana però è silenziosa e attenta: lei guarda, seleziona e compone una rete di affetti. Infatti prima d’essere chiamata gallerista, veniva definita amica e compagna dai suoi artisti.

Di solito la si associa a Peggy Guggenheim e quindi la storia dell’arte ne parla come la seconda talent scout del Novecento! Ileana in effetti ha molto in comune con Peggy: entrambe sono ebree, sono ricche, sono figlie di industriali e tutte e due sono galleriste.

Peggy però, ama e frequenta i Surrealisti, Max Ernest e Picasso, mentre con questa coppia abbiamo a che fare con galleristi capacci di coinvolgere artisti senza nome e critici affermati in un mix esplosivo che educherà lo sguardo non solo degli americani ma anche quello delle capitali europee. Sia lui che lei si sono già fatti conoscere a Parigi nei tragici anni Trenta. Ma è Manhattan il loro regno.

È questo il luogo nel quale si trova la “Leo Castelli Gallery” sulla 77ma strada. Ed è proprio al Cedar Tavern che le loro vite si intrecciano con la nuova estetica degli artisti newyorchesi. Si racconta che il pittore americano Ad Reinhardt abbia detto: “andiamo lì per incontrare le persone che odiamo di più, altri pittori”. Per i due galleristi invece si trattò d’amore a prima vista!

È così che Leo Castelli avrebbe inventato la “pop-art”, diventando contemporaneamente il più grande mercante d’arte di tutti i tempi. Ed è così che un gruppo di giovani pittori non più “stranieri”, dal talento non ancora catalogato; ragazzi bizzarri, contraddittori e dissoluti, hanno cambiato per sempre il corso della storia dell’arte.

 

Di Matilde Puleo

 

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