a cura di Roberto Fiorini
Nel 1992, nel suo famoso Come un romanzo, Daniel Pennac offrì libertà ai suoi lettori, garantendogli dieci diritti imprescrittibili.
Sono passati ben sei anni dalla pubblicazione di Mi hanno mentito – il primo volume della parte finale della serie Il caso Malausséne – sei anni durante i quali Pennac ha – ironia della sorte – tenuto in ostaggio i suoi lettori disattendendo amichevolmente ai loro “diritti imprescindibili”.
Fortunatamente è finalmente uscito Capolinea Malausséne edito da Feltrinelli, il secondo volume, che chiude definitivamente la celebre saga.
Personalmente sono rimasto incastrato da quasi 40 anni nella saga dei Malausséne, ho letto e riletto tutti i libri, sono cresciuto come lettore con i suoi personaggi.
Il primo volume di questo annunciato finale si era concluso nel bel mezzo di uno scossone narrativo, lasciandomi, per sei lunghissimi anni, in trepida attesa.
Il più giovane della tribù Malaussène aveva rapito Georges Lapietà, un potente uomo d’affari ed ex ministro dalla lingua sciolta.
Un rapimento teatrale, in realtà, dove l’ostaggio consenziente, doveva alimentare una performance artistica.
Tuttavia, alcuni criminali, quelli autentici, avevano trovato l’idea buona e a loro volta rapito Lapietà.
Il riscatto richiesto al governo francese?
Astronomico!
E non riuscendo ad onorarlo, i rapitori avevano fatto trapelare informazioni, trascinando nel fango molte delle figure più importanti della Francia contemporanea.
A questa storia principale, come spesso accade nei racconti di Pennac, si erano intrecciate molte storie secondarie, brillantemente interconnesse.
Pennac ha deciso di tessere una rete complessa, ma chiara, con molte ramificazioni che convergono sulla caduta finale, spettacolare e inaspettata.
Come sempre, lo scrittore prende in prestito dai codici del thriller, tenendoci con il fiato sospeso con una moltiplicazione di capovolgimenti imprevedibili, dispiegati in una messa in scena meticolosa.
Tutti gli ingredienti per attenderci un grande finale.
Un finale esilarante e probabilmente apocalittico.
La famiglia più amata di Parigi è tornata per l’ultima volta.
Che cosa rappresenta la serie dei Malaussène in numeri?
7 romanzi, oltre 5 milioni di copie vendute e più di 400 edizioni.
Benjamin Malaussène, famoso capro espiatorio, accetta in questo epilogo un ruolo secondario, offrendo luce alla sorella minore, Verdun, giudice istruttore, e alla nipote Maracuja, “pura condensazione del futuro“.
Il protagonista, Pépère, fresco nell’avventura, incarna il cattivo, crudele e astuto: “era un essere vendicativo. Forse ha passato la sua vita a vendicarsi di essere nato. Personaggio infame, tuttavia sfugge a una struttura prestabilita, in particolare da una saggezza che rivela una certa umanità“.
L’ultimo spettacolo pirotecnico di questa serie celebrata fin dal suo esordio è un dono, un regalo bellissimo per tutti i lettori.
Daniel Pennac prova un evidente piacere nella scrittura, un piacere contagioso.
La padronanza della lingua – strepitosa la traduzione di Yasmina Mélaough – i dialoghi scoppiettanti, la costruzione dei personaggi, si rivelano pagina dopo pagina, divertenti e per certi versi sorprendenti.
Non lo nego.
Ho affrontato la lettura con un velo di tristezza negli occhi ben conscio che si trattava della fine di una saga al quale sono molto affezionato.
Poi ho pensato al quarto diritto imprescrittibile del lettore, “il diritto di rileggere” ed il sorriso è tornato padrone del mio volto.
Imbrogliando un po’ le carte, potrei quasi suggerire di pensare alla saga di Malaussène come un ciclo infinito.
Con Capolinea Malaussène, l’autore consegna un perfetto finale dipingendo una incredibile storia di finto rapimento che si trasforma in un vero e proprio rapimento, gettando nella mischia i cugini Malaussène, l’ispettore Titus e i suoi colleghi, nonché Pépère, mafioso implacabile con la falsa aria di un simpatico nonno.
Un finale fedele allo stile Pennac, dove repliche improbabili e inaspettati capovolgimenti si susseguono.
Perché allora fermarsi?
Benjamin Malaussène è quasi assente da quest’ultimo romanzo, eppure la sua voce, sotto forma di monologhi interiori che spesso riempiono notti insonni, sui marciapiedi di Belleville, cane al guinzaglio, è sempre presente nella mente del lettore.
Una voce che avvolge in una immediata e rinnovata empatia, e che lascia il posto in quest’ultimo libro a qualcosa di molto più onnisciente.
Una sorta di malinconia, un modo forse per lasciare libero Pennac o forse per risparmiare al lettore una non conclusione con una nuova attesa interminabile.
Un libro poetico ed estremamente gioioso ma anche crudele.
Pennac decide di convertirsi per l’ultima volta a uno stile orale, diretto o indiretto, catturando da subito l’attenzione.
Ho sempre amato Pennac.
Folle, con tante storie complicate che si mescolano, oltre a tutti i personaggi con nomi strani.
Alla fine, mi sono lasciato cullare dalla magia delle parole di Pennac, dal suo umorismo, dalla sua fantasia.
Provo un vero giubilo nel leggerlo, in tutti i sensi, tra cose divertenti e passaggi esilaranti.
I continui richiami poi ai libri precedenti di questo finale della saga mi hanno dato l’impressione di rincontrare la mia adolescenza, una fuga a quasi 40 anni fa.
Ecco, Capolinea Malaussène è un libro di fuochi d’artificio.
Sì, c’è un mondo all’interno di un mondo.
Ma è soprattutto un modo per raccontarlo.
Daniel Pennac deposita qui tutto il suo talento di narratore, in una scrittura tipica della saga, intrisa di slang, salti di battute, fantasie e altri termini che segnano un’epoca.
Il libro è intrattenimento, il libro è oggetto, ma, attraverso il linguaggio, è anche simbolo generazionale.
Anno dopo anno, le generazioni si sovrappongono, mentre i libri della saga dei Malaussène sono rimasti.