domenica, Dicembre 22, 2024

Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamín Labatut

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a cura di Roberto Fiorini

Benjamín Labatut è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980.
Ha trascorso la sua infanzia tra l’Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all’età di quattordici anni.
Il suo primo libro di racconti, La Antártica empieza aquí, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award nel 2013.
A questo libro sono seguiti Después de la luz e Quando abbiamo smesso di capire il mondo edito da Adelphi e nominato per l’International Booker Prize 2021.
Dio non gioca a dadi con l’Universo” dichiarò Albert Einstein, a cui Benjamín Labatut replica: “forse no, ma il diavolo sì”.
In effetti, Einstein stesso ha sempre avuto un dubbio sulla matematica, la disciplina che supponiamo tenga il Signore lontano dai tavoli da gioco.
Com’è possibile – si chiedeva – che uno strumento intellettuale inventato dagli esseri umani possa comprendere, spiegare e persino manipolare così tanta realtà oggettiva?”.
Che il mondo fisico dovesse essere suscettibile a qualcosa che abbiamo inventato come essere umani gli sembrava sospetto.
Wittgenstein aveva già ipotizzato che i limiti della nostra lingua sono i limiti della nostra conoscenza; potrebbe essere la stessa cosa con la matematica e le altre branche della scienza su cui si basa?
Insomma, vediamo soltanto ciò che siamo capaci di vedere: e allora quanto c’è al di là di noi?
Lettura singolare quella del libro di Benjamín Labatut.
La fiction sembra prevalere sulla divulgazione scientifica, molte pagine ruotano attorno alla filosofia della scienza.
Il racconto affronta le svolte epocali della fisica quantistica, passando dal soggiorno tormentato di Heisenberg a Helgoland e dall’infatuazione di Schrodinger per la figlia adolescente.
Occorre premettere che sono pagine che scorrono in modo avvincente: la materia romanzesca sopravanza la descrizione delle scoperte.
La scelta dichiarata dell’autore in fondo è proprio questa.
Come nascono le scoperte scientifiche?
Qual è il dietro le quinte nascosto dalla popolarità della singola rivelazione che ne ha permesso la nascita?
Cercare una risposta a questa domande è il filo che lega i cinque racconti, collocati a metà tra il saggio e il romanzo.
Un libro originale e direi unico nel suo genere.
Il lettore non può far altro che perdersi nelle pagine, rimanendo rapito dall’immensità e allo stesso tempo dai limiti delle scoperte e dei loro inventori.
Per quanto riguarda la meccanica quantistica, il cui sviluppo era un’impresa audace e epocale come la formulazione della teoria della relatività generale, Einstein aveva più di un dubbio: la detestava, rifiutando di accettare una versione della fisica che sostituisse la certezza newtoniana con una nebbia di probabilità.
Ha trascorso gli ultimi 30 anni della sua vita tentando di realizzare una sintesi che trascendesse la teoria quantistica.
Ipotesi stravaganti avanzate alla fine del 1920 da Werner Heisenberg e Niels Bohr – i creatori dell’interpretazione di Copenaghen di come funzionano gli atomi – oggi sono alla base della scienza che guida l’esplorazione dei confini più remoti dello spazio e il funzionamento del telefono cellulare in tasca
I libri di scienza popolare di solito celebrano le meravigliose conquiste che la matematica applicata ha prodotto nei regni della fisica, della chimica e della cosmologia.
Benjamín Labatut tesse invece il suo ingegnoso ed intricato lavoro di finzione basato su eventi reali, una sorta come detto di romanzo di saggistica, dal momento che la maggior parte dei personaggi sono figure storiche, e gran parte della narrazione è basata su fatti storici.
Senza anticipare nulla, del resto il libro è davvero troppo bizzarro per essere raccontato, segnalo che verso la fine al lettore viene introdotto brevemente il vicino del narratore, che incontra nelle passeggiate notturne con il suo cane e che definisce il giardiniere notturno, perché cura le sue piante quando dormono e si relaziona con loro.
È a questa misteriosa figura che il narratore – o Labatut stesso visto che i due sembrano la stessa persona – concede l’ultima parola, l’assunto conclusivo.
Per il giardiniere, le somme sono la radice di tutti i mali contemporanei: “E’ la matematica, non le armi nucleari, i computer, la guerra biologica o il nostro Armageddon climatico, che stanno cambiando il nostro mondo al punto che, in un paio di decenni al massimo, semplicemente non saremmo in grado di capire cosa significhi veramente essere umani“.
Debbo altresì aggiungere che la prima parte del libro si muove davvero ad un ritmo vertiginoso.
Inizia con una visita guidata di una camera degli orrori in cui incontriamo alcune delle invenzioni più diaboliche provocate da due guerre mondiali, facendo la conoscenza di alcuni personaggi tra cui Hermann Göring, che ha schiacciato una capsula di cianuro nella sua bocca per evitare la corda del boia, il padre dell’informatica Alan Turing che si ritiene si sia ucciso mordendo una mela che aveva iniettato con lo stesso veleno, Johann Jacob Diesbach, l’inventore del blu di Prussia, il primo pigmento sintetico moderno e la base del cianuro e l’alchimista Johann Dippel che potrebbe essere stato il modello per il Frankenstein di Mary Shelley.
Il vero cattivo tuttavia è il chimico Fritz Haber che diresse il programma di attacchi con gas velenosi che uccisero decine di migliaia di soldati nella prima guerra mondiale: un risultato che spinse la moglie al suicidio.
Haber scoprì anche come raccogliere l’azoto e produrre il fertilizzante che salvò centinaia di milioni di persone che sarebbero morte a causa delle carestie mondiali all’inizio del 20esimo secolo.
Alla fine fu sopraffatto dal senso di colpa per aver causato la morte di innumerevoli esseri umani e perché il suo metodo di estrazione dell’azoto dall’aria aveva alterato così tanto l’equilibrio naturale del pianeta che temeva che il futuro del mondo non appartenesse all’umanità ma alle piante.
Uno degli aspetti più interessanti del libro è la rete meravigliosamente intricata di connessioni che tesse.
Il matematico e soldato Karl Schwarzschild risolse le equazioni di campo nella teoria della relatività generale nel 1915, lo stesso anno in cui Einstein le pubblicò.
Einstein fu sbalordito nel ricevere la sua lettera contenente la soluzione, e presto rispose; tuttavia, Schwarzschild era già morto di una malattia oscura che era probabilmente il risultato del suo essere stato coinvolto in un attacco di gas nelle trincee.
Una delle conseguenze dei suoi studi/intuizioni fu la “singolarità di Schwarzschild”, un nome per descrivere il fenomeno che oggi conosciamo come buco nero.
Dall’abisso della guerra aveva scritto a un amico: “Abbiamo raggiunto il punto più alto della civiltà. Tutto ciò che ci rimane è decadere e cadere“.
Poi il lettore incontra e si confronta con due dei più grandi matematici ed esseri umani più strani del nostro tempo.
Il giapponese Shinichi Mochizuki innanzitutto, che inventò un nuovo tipo di matematica.
Un collega ha raccontato in uno dei suoi articoli che sentiva provenire dal futuro.
Mochizuki raggiunse la fama nel 1996 quando dimostrò una congettura matematica del tedesco Alexander Grothendieck.
Tra il 1958 e il 1973, Grothendieck convinse “le migliori menti della sua generazione ad unirsi alla sua ricerca radicale per portare alla luce le strutture alla base di tutti gli oggetti matematici“.
Mochizuki e Grothendieck erano entrambi visionari, ed entrambi finirono per rinunciare alla matematica.
La seconda parte del libro è in gran parte dedicata alla lotta per la supremazia nella fisica moderna tra Erwin Schrodinger e Heisenberg.
Nel 1926 Schrödinger formulò un’equazione che descrisse “praticamente tutta la chimica e la fisica moderne” e in opposizione, Heisenberg sviluppò il “principio di indeterminazione“, mettendo in dubbio l’intera chimica e fisica moderna, introducendo la meccanica quantistica.
Nessuno comprende appieno la teoria quantistica – ricorda Benjamín Labatut – poiché non ha senso per le nostre menti di senso comune”, ma funziona ed è alla base della maggior parte dei significativi progressi della tecnologia moderna.
E quindi chi di loro aveva ragione, Schrödinger o Heisenberg?
Entrambi forse avevano ragione sbagliando.
I loro eredi scientifici continuano oggi a ricercare la Teoria del Tutto, una formula matematica che unisca tutte e cinque le forze, dalla gravità fino ai legami che legano le particelle subatomiche.
Il Santo Graal dei fisici di tutto il mondo.
Come anticipato il libro si chiude con il “giardiniere notturno” che racconta al narratore del modo in cui gli alberi di agrumi muoiono.
Labatut ha scritto un romanzo folle, distopico, ambientato non nel futuro ma nel presente.
La scienza moderna e il suo motore, la matematica, nella sua spinta verso “il cuore del cuore”, hanno già assicurato la nostra distruzione?
Come disse Grothendieck: “Gli atomi che hanno lacerato Hiroshima e Nagasaki non sono stati divisi dalle dita di un generale, ma da un gruppo di fisici armati di un pugno di equazioni“.
Sì, ma madre natura ha sempre i suoi modi per insegnarci l’umiltà” pare ricordarci Labatut.
Un saggio e romanzo che pagina dopo pagina diventa un appassionante viaggio tra le scoperte che hanno rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo.
Un intreccio di racconti dove al lettore è lasciato scegliere quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.
I fatti storici si confondono con le invenzioni narrative e va bene così.
Una doverosa conclusiva precisazione.
Questo libro NON è un saggio di scienza, chimica, matematica e fisica.
Chi si aspetta una rigorosa divulgazione scientifica non acquisti il libro di Benjamín Labatut.
Un libro però straordinario e direi unico.
L’autore riesce a rendere sottilissimo il confine tra scienza e letteratura, in un’opera che non è né saggio né romanzo e proprio per questo godibilissima.
Un connubio tra scienza e divertimento?
Forse, sta di fatto che si tratta di un libro da leggere con curiosità.

 

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