venerdì, Novembre 22, 2024

Anticorpi monoclonali: l’inchiesta della Corte dei Conti che ha travolto l’AIFA

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di Stefano Pezzola

Chiamasi una brutta seccatura. Secondo quanto riferito dalla trasmissione di Rete4 “Fuori dal coro”, condotta da Mario Giordano, “l’Agenzia italiana del farmaco sarebbe sotto indagine contabile per un presunto danno erariale per scelta pubblica non adeguatamente ponderata”, dovuto al rifiuto di 10mila dosi gratuite di anticorpi monoclonali.

Si legge nel comunicato di Mediaset: «Il programma è in grado di rivelare che la Corte dei Conti ha aperto un’inchiesta sulla nostra agenzia del farmaco, con l’accusa di danno erariale, si parla di scelta pubblica non adeguatamente ponderata». Sotto la lente d’ingrandimento della magistratura contabile si trova «la scelta dell’AIFA di aver rifiutato 10.000 dosi di farmaci monoclonali gratis, decisione presa nella riunione del 29 ottobre 2020, come rivelato alcuni mesi fa».

Perché l’AIFA non ha mai voluto rendere pubblico il verbale della riunione, come richiesto dal Tar del Lazio? Su questo investiga la Corte dei Conti: «Perché sono state rifiutate quelle dosi e chi ha detto di no? Nicola Magrini, direttore generale AIFA, dovrà ora spiegare quanto successo in quella riunione, avvenuta con la casa farmaceutica Eli Lilly e rendere pubblico il verbale come richiesto dalla Corte dei Conti».

Soprattutto, perché l’AIFA ha respinto diecimila dosi di un farmaco che avrebbe potuto salvare altrettante persone senza gravare sul Sistema Sanitario Nazionale? Gli anticorpi monoclonali, infatti, hanno sempre dimostrato di essere una terapia efficace nella cura al Covid-19, come del resto la stessa AIFA ha ammesso autorizzandone l’uso, ma in un secondo momento. Sul sito, infatti, si legge che «a partire dal 07/08/2021 è possibile utilizzare anche l’anticorpo monoclonale sotrovimab per la seguente indicazione terapeutica: trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) lieve o moderata, negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a 12 anni non ospedalizzati per COVID-19, che non necessitano di ossigenoterapia supplementare per COVID-19 e che sono ad alto rischio di progressione a COVID-19 severa».

La domanda che sorge spontanea è perché si stato rifiutato un farmaco che poi successivamente è stato acquistato a marzo, dopo l’approvazione avvenuta lo scorso febbraio, quando la Commissione tecnico scientifica dell’AIFA diede ufficialmente il via libera agli anticorpi monoclonali in Italia. Allora, peraltro, circolavano entusiasmo e soddisfazione per una “macchina ausiliaria” che avrebbe permesso di concludere, con meno urgenza, la campagna vaccinale, sostenendo i pazienti che via via si sarebbero ammalati.

Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma, impegnato nella ricerca di anticorpi monoclonali efficaci contro il Covid-19, spiegò: “Con le dosi di vaccino che tardano ad arrivare, le categorie e gli ambienti più a rischio potrebbero trovare negli anticorpi monoclonali la protezione contro il Covid di cui hanno bisogno. Gli anticorpi monoclonali sono farmaci precisi, intelligenti e accurati che conosciamo da anni, e che oggi rappresentano l’unica arma farmacologica di cui disponiamo al momento contro il Coronavirus”.

In un periodo di emergenza sanitaria come quello che abbiamo vissuto, e stiamo purtroppo vivendo tutt’ora, crea alquanto scalpore una inchiesta di tale entità, specie perché nell’occhio del ciclone è finita l’Agenzia che, come inconfutabile dogma morale, dovrebbe avere quello di preservare la salute dei cittadini.

Le scelte prese sin dall’inizio della pandemia si sono rivelate estremamente delicate e si fa molta fatica a credere che alla base di queste vi siano stati ambiguità, leggerezza e presumibili secondi fini. Al di là dello sperpero di denaro pubblico, l’aspetto che potrebbe ferire maggiormente, e che trascende il lato “materiale” della vicenda, riguarda la gravità dei danni da essa provocati: se AIFA avesse immesso questi 10.000 dosi di monoclonali nel sistema sanitario, quanti morti si sarebbero risparmiati?

Le domande aumentano, i misteri si infittiscono. Ahimé, ciò che però risulta sempre più chiaro è la scarsa credibilità di gran parte delle decisioni prese fino ad ora, decisioni che certamente richiedevano una maggiore ponderatezza.

Un noto proverbio dice: “Meglio un’amara verità che una dolce bugia”. In questo caso, però, fare chiarezza sulla vicenda potrebbe far emergere cose molto spiacevoli per la comunità, come se l’amarezza, di per sé, già non mancasse.

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