In crisi da anni il mito del posto fisso in banca sta per cadere definitivamente e non rappresentare più quello che, a cavallo tra gli anni Ottanta e Duemila, era considerato una delle principali ambizioni dei neodiplomati e laureati e delle loro famiglie.
La sicurezza del posto fisso in un’ambiente assai apprezzato come quello bancario, in cui è stata coltivata e si è sviluppata nel tempo quella che è risultata una delle più grandi illusioni, con cui oggi stiamo facendo i conti, della crescita “infinita” del benessere economico, sta perdendo appeal.
Con il venir meno di quell’immagine che rendeva negli anni scorsi tale ruolo assai attrattivo e desiderato, per l’aggravarsi delle condizioni ambientali e per gli epocali cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni che hanno profondamento modificato lo scenario socio-economico e le stesse regole del gioco interne, il malessere dentro le filiali cresce e la sua gestione non ha solo implicazioni di carattere contrattuale e sindacale ma persino ripercussioni sulla salubrità del tipo lavoro imposto.
Ma il malessere tra i dipendenti, nasce soprattutto per il clima pesante che si respira ormai da anni nelle filiali e che rispecchia in generale quello di una società sempre più veloce, esigente, responsabilizzante e stressante, attraversata da politiche aziendali e da un’agguerrita concorrenza che risultano spesso di discutibile valore.
L’attività nelle filiali bancarie, sempre meno incentivate ad essere frequentate per favorire la relazione a distanza e per questo destinate a ridursi drasticamente, muove in un contesto reso ancor più difficile dalla crescente fragilità ed insicurezza che si sta riflettendo nella società e di conseguenza anche nelle relazioni interne ed esterne alle stesse filiali.
Una congiuntura di evidente e preoccupante fragilità che sta smontando quel distorto immaginario collettivo, frutto di una strategia consumistica illusoria e per certi versi anche di scarso valore etico e sociale, che ha visto protagonista il pensiero del “mito dell’invulnerabilità” del sistema e della ricchezza individuale destinata esclusivamente a crescere, insieme al potere di acquisto.
La realtà che si sta rivelando è però assai diversa da quella prospettata e sperata negli anni addietro, in cui il posto in banca valeva “oro” e nella visione dei risparmiatori esisteva solo la possibilità di diventare sempre più sicuri e benestanti.
Una situazione che, oltre a ridisegnare i confini operativi e le “architetture” delle istituzioni bancarie, denota la responsabilità di governo di un sistema che ha rivelato in questi anni scarsa trasparenza.
Si è purtroppo distinto in troppe occasioni, come appare anche dal grido allarmato degli addetti di filiale, per aver praticato modalità ed approcci di vendita assai discutibili sia in termini operativi che qualitativi e puramente educativi, in antitesi con gli obiettivi attesi dalle disposizioni di legge introdotte nel tempo.
Abbiamo assistito colpevolmente ed acriticamente, salvo averlo fatto con un’intensità insufficiente ovvero inefficacemente, visto il ripetersi dei casi e la situazione attuale che continua a palesarsi, a comportamenti ingiustificabili, scarsamente diligenti e professionali.
Frutto di logiche e politiche aggressive non sono mancati casi in cui operazioni di derivazione speculativa e di “finanza creativa” sono atterrati ingiustificatamente tra le mura domestiche di tantissimi ignari consumatori, in barba ai criteri oggettivi e prudenziali che dovrebbero guidarli nello loro scelte di acquisto.
E tutto questo è denunciato e rivendicato dal personale addetto all’attività di filiale, che in molte circostanze subisce situazioni al limite della sopportabilità umana e professionale, che evidenziano una complicità, cecità e responsabilità dell’intero sistema.
Sistema, peraltro, colpevole di non aver incentivato adeguatamente la promozione della cultura finanziaria, che sta ancora latitando, nonostante sia abusata nei discorsi di circostanza e sia fondamentale per colmare la distanza tra le parti e come antidoto per prevenire le pratiche scorrette e distorsive per il mercato.
La scarsa cultura finanziaria ha amplificato l’asimmetria informativa, riflettendosi negativamente sui comportamenti e sulle dinamiche relazionali ed operative attuali, tra cui quelle che coinvolgono il personale addetto degli sportelli, il cui grido di dolore e di protesta sta alzando il tono.
Ciò rende ancor più difficile la gestione di una fase delicata come quella attuale, in cui viviamo una società che si rispecchia in una delle sue attuali definizioni che trovo particolarmente appropriata e contestualizzata come quella di “società dello stress economy”.
Una società in cui si avverte una forte fragilità ed insicurezza, di fronte anche ai labili equilibri che stanno caratterizzando in modo sempre più pressante ed amplificato le dinamiche geopolitiche e socioeconomiche a livello globale.
In uno scenario di lavoro già discutibile, l’aggravarsi di questa insicurezza che viene avvertita e purtroppo anche vissuta da sempre più persone, ripercuotendosi anche nelle relazioni, tra cui quelle con la propria banca, ecco salire “rumorosamente” il disagio e il malcontento dei bancari sempre più alle prese di una crisi di nervi.
L’operatività in contesti sempre più “spersonalizzati”, in cui si è coltivata una competizione interna individualista e scarsamente collaborativa e imperniata maggiormente sulle pressioni commerciali, piuttosto che sulla qualificazione della professionalità e delle competenze e su un approccio cliente centrico, sembra rappresentare la principale fonte del malessere dei bancari.
“Forzati” ad operare attraverso pratiche commerciali aggressive.
Tra le principali criticità emerse dalla ricerca e denunciate dagli addetti delle filiali è la forte pressione che subiscono per mettere in atto attività di vendita prevalentemente prodotto centriche.
Emerge in particolare una pratica diffusa tesa ad incentivare la vendita di prodotti remunerativi piuttosto che promuovere una vendita coerente alle esigenze del cliente e diretta ad intercettare e soddisfare le sue reali esigenze.
Una prassi che appare consolidata e rispetto la quale emerge apertamente e in maniera netta il dissenso degli addetti di banca, che denunciano un clima di difficile sostenibilità all’interno delle mura delle filiali.
Un’insoddisfazione amplificata anche dall’attuale contesto socio-economico turbolento che riflettendosi emotivamente sulle persone e sulle dinamiche relazionali, rendendole più “aspre”, ha reso il clima meno sereno e più conflittuale tra le mura delle filiali sia nei rapporti interni che con la clientela, provocando inevitabilmente e legittimamente questa alzata di scudi da parte del personale.
Lamentano soprattutto un ambiante di lavoro privo di “serenità” ed altamente conflittuale, con il peso di pressioni commerciali che rischiano di contrastare con le direttive istituzionali e di derivazione “europea” a tutela degli interessi e delle esigenze dei consumatori e in ogni caso con quei valori di ordine etico e morale.
Si sentono comprensibilmente esposti non solo da un punto di vista disciplinare, ma anche umano e civile.
Una preoccupazione che sale considerando anche il rigido perimetro regolamentare e burocratico entro il quale devono operare per essere in compliance e che fa per questo sorgere spontanea una riflessione circa la sua efficacia, che dovrebbe coinvolgere il legislatore, l’intero ecosistema bancario-assicurativo e i rappresentanti dei consumatori.
Siamo in presenza di un impianto regolamentare assai articolato, che pur nobile nello spirito si sta rivelando da una parte di difficile sostenibilità e fonte di pesanti responsabilità per molti operatori professionali, compresi gli addetti di filiale bancaria e dall’altra discriminatorio e di dubbia efficacia rispetto l’attività delle banche, con quest’ultime che con “prepotenza” e spavalderia continuano a disattenderlo.
I comportamenti denunciati al loro interno sono chiaramente “out compliance” ed in antitesi con le regole comportamentali nella relazione con il cliente, privi di quella diligenza prevista e doverosa, anteponendo il loro interesse rispetto a quello che dovrebbe nascere da un rapporto win-win che parte dalla cura del cliente e privilegia la soddisfazione delle sue reali esigenze.
Un modus operandi “non scritto” ma praticato che produce effetti avversi non solo per la salute del mercato.
Il rischio di alterare la sostenibilità di una sana e corretta concorrenza, si incontra con quello di mettere a repentaglio la salute e il benessere psicofisico dei propri dipendenti, a cui viene imposto di attivarsi con pratiche puramente commerciali di prodotto e di dubbio valore, a scapito di un’operatività dettata da una visione cliente centrica.
Una modalità operativa comprensibilmente “mobbizzante”, fonte inevitabile di tensioni interne e destabilizzanti per la serenità del clima aziendale, all’interno di un contesto già di per sé complesso e delicato, che nel tempo ha visto un aggravio del lavoro e delle responsabilità in capo all’addetto di filiale.
Una realtà che emerge anche dalla recente ricerca denominata “benessere lavorativo e lavoro da remoto nel settore bancario-assicurativo in Emilia-Romagna”.
Questa crisi di nervi dei bancari e la pressione sul capitale umano delle filiali emerge anche dalla recente ricerca “benessere lavorativo e lavoro da remoto nel settore bancario- assicurativo in Emilia-Romagna”, commissionata da First, il sindacato di categoria in seno alla Cisl.
Un comportamento quello che viene fuori dalla ricerca che non solo mette a repentaglio lo stato di salute dei dipendenti bancari e l’eticità del sistema, ma anche gli equilibri concorrenziali e soprattutto gli interessi dei clienti.
Peraltro, in una fase storica assai delicata, in cui le scelte non possono essere dettate da pressioni commerciali a senso unico, per il quale è comprensibile l’urlo di protesta dei bancari, è altrettanto doveroso un intervento dell’Autority che metta ordine rispetto a pratiche sindacabili ma diffuse nella pratica.
In un contesto come quello di appartenenza al mondo delle banche, in cui esercitano diversi operatori commerciali, quanto denunciato rappresenta una grave ingiustizia e distorsione non solo all’interno della filiale ma per l’intero mercato.
Si tratta, infatti, di un settore “affollato” e competitivo in cui operano nei diversi ruoli migliaia di operatori, che sono chiamati ad adempienti di difficile sostenibilità, pena pesanti sanzioni, con grandi responsabilità e notevoli rischi imprenditoriali e nonostante anche a detta dei loro addetti, è prassi di molte banche aggirali.
Ansia e stress, insieme a scarsa autonomia decisionale degli addetti di filiale rappresentano le principali criticità avvertite nel rapporto con la Banca, che possono riflettersi sulla qualità del servizio reso e delle soluzioni prestate ai clienti.
Ma se per i bancari è probabile l’arrivo di un aumento di 435 euro al mese, che potrebbe in parte placare il loro malcontento, sono i clienti che devono porre molta attenzione nel rapporto con la propria banca, come nel caso di ogni altra istituzione/ente finanziario, bancario ed assicurativo.
Infatti, stando alla denuncia degli stessi addetti di filiale e nonostante la iper-regolamentazione del settore diretta alla tutela del consumatore, non è così remoto il rischio di subire una vendita “aggressiva, dettata da una “politica” commerciale centrata prevalentemente sul prodotto e la sua remunerazione, piuttosto che sulle esigenze del consumatore.
I tempi cambiano e il malessere dei dipendenti deve essere da monito anche per i clienti, il cui approccio non può continuare ad essere “banalmente” e irresponsabilmente quello di esclusiva e incondizionata fiducia legata ad una atavica percezione che va superata rispetto all’istituzione banca.
E’ consigliabile un approccio con un atteggiamento più prudente, attivo ed esigente, aprendosi alla consulenza e ad un’offerta più ampia proveniente dalla concorrenza, compresa quella costituita da professionisti come i promotori finanziari, i consulenti indipendenti, gli agenti e i broker assicurativi, che nei loro settori di competenza rappresentano un qualificato livello di professionalità.
Il motto me l’ha consigliato la mia banca, come sinonimo di massima garanzia e soluzione assoluta e insindacabile, che trova ancora terreno fertile nella mentalità dei consumatori “medi”, potrebbe risultare imprudente e non conveniente, alla luce anche delle pratiche diffuse sul mercato che rischiano di far perdere credibilità e fiducia al sistema.
Va opportunamente rivisto e messo discussione attraverso un approccio più sofisticato e “preparato”, considerando l’importanza di fare scelte consapevoli e di misurare la fiducia sulla reale qualità del rapporto e del servizio reso.
Ciò è sicuramente possibile attraverso un approccio più esigente e una valutazione più ampia delle offerte, tenendo presente che sul mercato della distribuzione bancaria ed assicurativa operano diversi concorrenti, tra cui quegli attori professionali che per la loro natura possono garantire standard di qualità e di professionalità più elevati.
Che il grido dei bancari non rimanga al solo interno delle filiali, ma ci renda tutti più attenti e responsabili per diventare realmente protagonisti consapevoli delle nostre scelte.
E’ opportuno evitare di essere spettatori passivi e paganti di pratiche commerciali aggressive, con la consapevolezza del ruolo fondamentale del settore bancario ed assicurativo anche per la ripresa e la sostenibilità del sistema paese.
La credibilità di un settore strategico ed importante anche per la sostenibilità del bene comune non può essere messa in discussione da pratiche scorrette e deve pertanto trovare supporto, oltre che nelle istituzioni anche con la loro costante attività di controllo, nelle dinamiche di mercato e in un concreto investimento nell’educazione finanziaria e in una rinnovata maturità di un cliente sempre più esigente e consapevole.