LIBRI PER TUTTE LE ORECCHIE
Paesaggi Letterali Settimanali
a cura di Roberto Fiorini
All’improvviso, non annunciato, misterioso: il silenzio.
Internet tace, tutti gli schermi si oscurano.
Cosa sta succedendo?
E ora, sono pieno di incertezza, forse anche un po’ di terrore.
Chi potrebbe fare una cosa del genere?
Siamo sicuri che non siano stati i russi?
Era un bot?
Questo è il genere di cose che accade in un romanzo di DeLillo quando la tecnologia è morta.
E così anche la civiltà potrebbe esserlo.
All’inizio di The Silence, il nuovo romanzo di Don DeLillo pubblicato in Italia da Einaudi editore, vengono presentati un uomo e una donna su un volo da Parigi a New York.
L’uomo è Jim, la donna è “la moglie di Jim, dalla pelle scura, Tessa, origini caraibiche-europee-asiatiche, una poetessa il cui lavoro è apparso spesso su riviste letterarie“.
“Ha anche trascorso del tempo, online, come redattrice con un gruppo editoriale che ha risposto alle domande degli abbonati su argomenti che vanno dalla perdita dell’udito all’equilibrio corporeo, alla demenza“.
Le informazioni arrivano tutte assieme indistintamente, ed è difficile capire cosa è importante, cosa non lo è e cosa è stato scritto da un “risponditore automatizzato“.
La coppia è in volo verso New York, di ritorno dalla loro prima vacanza dopo la pandemia.
Jim conta quanto manca, misura il “tempo per l’arrivo a casa” che controlla sul suo piccolo schermo, mentre lei discute su come pronunciare bene una parola.
Jim dice i numeri ad alta voce perché sono “degni di nota“, vuole permettere loro di “vivere un po’”, per dare “una scansione udibile del dove e del quando“.
Ma il resto del mondo sembra non vedere o sentire.
Questo interesse per i dettagli diviene nei romanzi di DeLillo una poesia sulla trama, un racconto dell’apparentemente insignificante e trascurato.
C’è, nell’atteggiamento di Jim, l’empatia assoluta per lo strumento digitale che scansione il viaggio ed il tempo mancante, perché in fondo l’accuratezza è una forma di fedeltà, e lo schermo è assolutamente fedele al suo utilizzatore.
In città, in un appartamento nell’East Side, li aspettano tre loro amici per guardare tutti insieme il Super Bowl.
Una professoressa di fisica in pensione, suo marito e un ex studente geniale e visionario.
Una scena come tante, un quadro di ritrovata normalità.
Martin Dekker, l’ospite della coppia, è uno degli ex studenti di Diane, la professoressa di fisica in pensione, un uomo con un’ossessione per la fisica.
All’improvviso, tutta la tecnologia digitale si spenge.
I tweet, i post, i bot spariscono.
Tutti gli schermi, che come fantasmi circondano ogni momento della nostra esistenza, si oscurano.
Le luci si spengono, un black-out avvolge nelle tenebre la città e il mondo intero.
Che cosa sta accadendo?
Del resto come fare a saperlo?
L’aereo è costretto ad un atterraggio di fortuna.
E addio Super Bowl.
È l’inizio di una guerra, o la prima ondata di un attacco terroristico?
È un compito strano da imporsi: indirizzare un romanzo verso la novità e scrivere del presente, scrivere di ciò che è.
Il ritmo della letteratura è tradizionalmente più adatto a ciò che era, ciò che sarà, ciò che non è.
DeLillo non si è mai accontentato di limitarsi a riferire.
Ama dirci non solo ciò che è, ma come ci si sente, ed è questa capacità di trascrivere l’emozione del momento che costituisce il suo genio creativo.
Ha compiuto da poco 86 anni, e dopo 50 anni di scrittura, DeLillo vuole raccontarci di una calamità universale.
Questo era anche il soggetto del suo precedente romanzo, Zero K, in cui gli esseri umani usano la tecnologia per arrestare l’invecchiamento e le malattie nel tentativo di sovvertire la morte e realizzare la resurrezione.
The Silence è ancora più duro e scheletrico rispetto al precedente romanzo.
Adesso gli esseri umani privati della tecnologia si rassegnano alla morte, e non solo alla morte individuale, ma alla morte culturale, alla fine del mondo, alla fine dei tempi.
Al calcio d’inizio della partita del super bowl, con Max, Diane e Martin nel bel mezzo della discussione su cosa cucinare nell’intervallo, il mondo cambia.
O, come dice DeLillo, “qualcosa è successo, allora“.
La tecnologia non “funziona” più, né per caso né per sabotaggio.
La teoria della relatività ricorda che nessun evento, e certamente nessuna percezione degli eventi, possa dirsi assolutamente simultaneo.
Il tempo potrebbe essere reversibile, ma non può essere fermato, quindi l’Adesso non può esistere se non come finzione.
Senza tecnologia, questa mancanza di un presente – o la finzione del presente – diventa ancora piu’ percepibile.
Ci raccontano che la tecnologia ci connetta.
Max, Diane e Martin diventano consapevoli che ognuno di noi vive nel proprio presente, individuale, che non ha nulla in comune con quelli degli altri, delle nostre famiglie, dei nostri vicini, e questo forse li renderà pazzi.
Uno scrittore del presente è quasi sempre apocalittico.
E’ quasi un privilegio di ogni generazione pensare di essere l’ultima, anche se le generazioni che hanno scritto dopo la Bomba Atomica hanno avuto una giustificazione in piu’ per le loro trame.
I romanzieri della generazione di DeLillo si aspettavano la fine del mondo attraverso una calamità nucleare, ma di loro solo pochi sono ancora in vita per sostenere il cambiamento, vale a dire, la possibilità che il mondo finisca non con un botto, ma in silenzio.
Lo scioglimento silenzioso dei poli, il silenzioso innalzarsi dei mari, il ribollire silenzioso di una piaga soffocante.
In questo romanzo, il silenzio che segue il blackout dei nostri cervelli esterni, quei dispositivi a celle di silicio a cui abbiamo delegato tutto, le nostre cartelle cliniche e legali, le nostre sequenze genetiche, i nostri nudi, i nostri romanzi, i nostri passati, i nostri ricordi.
La tragedia del nostro oblio.
Il tempo ha accelerato, oppure semplicemente si è fermato, o forse lo percepiamo in questo modo perché “le nostre menti sono state rimasterizzate digitalmente” o perché siamo stati avvelenati da “plastica” o “microplastiche”.
Ciò che inizialmente era un dialogo si disperde in monologhi di dissociazione sconsolata: cinque “amici” separati incapaci di comunicare, incapaci di connettersi, incapaci persino di ricordare.
“La vita può diventare così interessante – scrive DeLillo – se dimentichiamo di avere paura“.
Se la spina viene staccata e tutto si spegne, cosa succede dopo?
Ma questo non è un libro di speculazioni e profezie, nonostante le sue ovvie connessioni con il nostro attuale momento di dipendenza digitale.
Per DeLillo, ogni discontinuità è anche un momento di trascendenza.
Il black out digitale genera riflessioni filosofiche.
Il denaro, la guerra, la politica, la tecnologia generano un individualismo tossico che ci ha lasciato soli e ignari.
Ma il mondo dovrebbe essere costantemente in un processo di rottura e reimmaginazione di se stesso.
Quando gli strumenti di quell’individualismo iniziassero a scomparire, quando i nostri schermi non riuscissero a ipnotizzarci e a offrire false promesse, dove potremmo andare e che cosa potremmo fare?
L’uomo è venuto silenziosamente al mondo e DeLillo sembra suggerirci che lasceremo il mondo in silenzio.
Il Silenzio non è un romanzo comodo come Underworld, e non è divertente come White Noise.
Alcuni degli stessi temi ricorrono in una forma essenziale.
Non una parola va sprecata nella narrazione di DeLillo.
Leggere The Silence è un po’ come guardare Melancholia di Lars von Trier o ammirare un’opera di Philip Glass.
DeLillo guarda al futuro nel momento presente.