lunedì, Novembre 18, 2024

Porta la madre in RSA ma la seguono meno che a casa: “Quasi non posso neanche vederla”

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di Andrea Giustini

E’ una storia assurda quella raccontata ad ArezzoWeb Informa da una lettrice. Silvia, nome che di qui in avanti le attribuiremo per tutelarne la privacy, ha una mamma anziana, di quasi 86 anni. Una mamma speciale. Vedova da 24 anni, e con problemini vari a causa dell’età, è comunque una forza della natura. E’ sveglia, dinamica, loquace, e ancora completamente autonoma e indipendente. O almeno lo era fino a tre settimane fa, quando rientrando a casa dopo un’uscita è caduta e si è fratturata una vertebra.

Che cosa faccio adesso?” si è chiesta Silvia. La prima idea era quella di prestarle da sola attenzioni e cure necessarie. Di stringere i denti e fare un po’ come sempre insomma. Ma la mamma ha dovuto mettere un busto, non si muove più bene, e non di rado capita abbia bisogno di aiuto durante la notte: per andare in bagno ad esempio, o per lenire i dolori alla schiena, che altrimenti le impediscono di dormire bene. Abita inoltre lontano sia dalla casa che dal lavoro di Silvia. Dunque?

E se ci fosse una struttura dove potessero assisterla per un mesetto, giusto il tempo di farla riprendere dalla caduta? E magari anche vicina al lavoro, così da poterla andare a trovare anche quotidianamente?”: è più o meno questo che Silvia ha cominciato a pensare. E fortunatamente una nota RSA di Arezzo con queste caratteristiche c’è, proprio a una cinquantina di metri da dove lei lavora. “Era perfetta per le mie esigenze” ha raccontato la donna. Così, al primo momento libero, Silvia si è recata alla struttura: per informarsi, spiegare la situazione e soprattutto le sue necessità.

Ho avuto un confronto con la RSA quel giorno – ha detto Silvia – spiegai cosa era successo alla mamma, che avevo bisogno fosse assistita per un mesetto, e anche che la zona era ideale perché mi permetteva di farle visita quotidianamente uscendo dal lavoro. Sembrava tutto a posto, non mi fu detto nulla in contrario se non che a causa delle disposizioni anti Covid-19 non era possibile avere accesso alle camere degli ospiti“.

Si, sembrava tutto a posto. Perché invece da quando poi Silvia ci ha portato la mamma è cominciato un calvario che l’ha letteralmente fatta pentire di essersi rivolta alla RSA. In sostanza lì dentro la mamma viene assistita meno che a casa e, soprattutto, è come se fosse reclusa: non esistono orari di visita ed è possibile vederla un massimo di due volte a settimana, solo previa apposita prenotazione. Tutto ciò a fronte di più di 4.000 euro per un solo mese, pagati da Silvia anticipatamente.

Si sta rivelando un’esperienza traumatica – ha detto Silvia, facendo alcuni esempi per far capire quale è concretamente la situazione dentro la struttura.

«Avevo esplicitamente detto che non le mettessero il pannolone perché è lucida, e che avevo bisogno fosse seguita la notte da un’infermiera: per andare in bagno o per fare due passi in caso di dolori alla schiena. Invece la sera le mettono proprio il pannolone e da quel momento nessuno la segue, nemmeno se chiama. Una notte ha chiesto aiuto 25 volte. Se una persona sta male che deve fare?”.

Oppure: «Mia mamma è sorda. A casa ha un apparecchio per la televisione che le trasmette l’audio via Wifi a delle cuffiette speciali. Dopo che è caduta, le inserivo io lo spinotto apposito dell’apparecchio nel televisore e lo avevo portato anche alla RSA, così da permetterle di ascoltare la tv anche lì, ma questo apparecchio non è mai stato sistemato. Più volte abbiamo chiesto che venisse attaccato, ma è ancora lì, inutilizzato. Non è chiaro il motivo per cui ancora non sia stato fatto niente».

Nella RSA è stato un problema anche somministrarle una semplice tachipirina alla mamma, poiché non presente nel “piano terapeutico”.

«Una sera – ha raccontato Silvia – la mamma aveva bisogno di una tachipirina. Non potendosi muovere capita che a letto si indolensisca e la tachipirina la aiuta a calmare il dolore e riprendere sonno. Alla RSA non glie l’hanno voluta dare perché non era inserita nel piano terapeutico. Magari il dottore ha sbagliato a non mettercela, ed è comunque comprensibile perché la prende solo a volte e senza prescrizione, ma così le hanno fatto passare una notte di dolori terribile, solo perché “non erano autorizzati”. Ho dovuto io richiamare il dottore il giorno dopo e dirgli di contattare la struttura per informarli che potevano somministrare a mia madre una semplice tachipirina».

Ma la cosa peggiore è naturalmente il fatto di non poterla vedere quotidianamente come Silvia aveva chiesto. «Per me è stata una pugnalata al cuore. Avevo scelto di portarla là proprio perché così potevo starle più vicina, data l’ubicazione della RSA. Era questo che mi aveva convinto a crearle quel disagio temporaneo, spostandola dalla casa dove vive da 30 anni da a un posto a lei sconosciuto. E lei stessa mi diceva “così dopo il lavoro vieni da me, anche solo per 10 minuti: a me fa piacere che mi fai una visitina al giorno”. Quasi invece non la posso più vedere. Mia mamma si sente spersa».

La giustificazione che la struttura ha dato delle proprie regole per le visite sarebbe la normativa anti Covid-19. Ma giustamente Silvia nota che nel sito della Regione Toscana, alla sezione “Visite nelle RSA“, è scritto tutt’altro. Ci sono certamente degli obblighi, come l’utilizzo della mascherina FFP2, prorogato fino al 30 aprile 2023, ma per le visite si dice che: “Visitatori e accompagnatori possono accedere negli orari di visita in modo da consentire ai familiari di prestare assistenza quotidiana alla persona non autosufficiente, compatibilmente con l’organizzazione delle attività assistenziali e ricreative, nel rispetto delle buone pratiche di prevenzione del rischio di infezione”.

Dovrebbero quindi esistere sia orari di visita precisi che possibilità per i parenti dell’ospite di assisterlo anche quotidianamente volendo. Non si comprende dunque il motivo reale di una simile rigidità nelle modalità di visita della RSA aretina, tale di fatto da limitare sia la libertà dell’ospite che dei suoi familiari.

«Non voglio e non posso sindacare sulle modalità operative della struttura – ha concluso Silvia – resto però meravigliata. Ci sta il Covid-19, ci sta volendo anche il “no” all’accesso alle camere, anche se non lo comprendo appieno. Ma che non si possa vedere un proprio familiare, fra l’altro anziano, fragile, a certi orari nemmeno nell’atrio della RSA è una limitazione alle libertà che non può essere legata alla salute degli ospiti.

«Non pretendo di poter fare come a casa, di andare tutte le sere e per quanto voglio: ma almeno a un orario di visita quotidiano. Come del resto succede all’ospedale, dove infatti sono previsti orari di visita. Anche lì la gente lavora, ci sono infermieri, medici e pazienti. E quando c’era emergenza Covid non ci si poteva andare. Ma ora che la situazione si è normalizzata si possono liberamente effettuare visite in determinati orari: basta usare i dispositivi previsti, come mascherine e igienizzante. Perché invece questo non avviene anche nella RSA dove mia madre è ospite?»

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