domenica, Dicembre 22, 2024

Una vita come tante di Hanya Yanagihara

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Paesaggi Letterali Settimanali
a cura di Roberto Fiorini

Vincitore del Kirkus Prize, finalista al National Book Award e al Booker Prize.
Tra i migliori libri dell’anno per il New York Times, The Guardian, The Wall Street Journal, Huffington Post e The Times.
“Quante volte capita che un romanzo sia inquietante fino alle lacrime eppure così rivelatorio della gentilezza della natura umana da farvi sentire in uno stato di grazia? La seconda stupefacente opera di Hanya Yanagihara scandaglia a fondo le vite intime dei suoi personaggi e il lettore non solo ne prende a cuore il destino ma ha l’impressione di viverle in prima persona. Le sue pagine sono piene di dolore, ma ovunque emerge l’infinita capacità dell’uomo di resistere e di amare” scrive il San Francisco Chronicle
“Non capita spesso di leggere un romanzo di queste dimensioni e di pensare, vorrei che fosse più lungo” scrive invece il Times.
Sono dovuto correre in libreria ad acquistare Una vita come tante di Hamya Yanagihara edito da Sellerio, troppo grande era la curiosità.
Totalmente coinvolgente, meravigliosamente romantico, a volte straziante, mi ha tenuto sveglio fino a tarda notte, una sera dopo l’altra” scrive invece Edmund White.
Condivido ogni singola lettera e parola.
Un romanzo straordinariamente straziante.
Hanya Yanagihara (classe 1974) è una talentuosa scrittrice statunitense di origini hawaiane.
Ha trascorso l’infanzia tra le Hawaii, New York, Maryland, California e Texas.
In apertura del romanzo A Little Life – questo l’originale titolo in inglese – quattro giovani, tutti laureati nella stessa prestigiosa università del New England, iniziano la loro vita a New York City.
Sono un gruppo piacevolmente diverso caratterialmente ma strettamente legati l’uno all’altro.
Willem Ragnarsson, il figlio del proprietario di un ranch nel Wyoming, lavora come cameriere ma aspira a diventare un attore.
Malcolm Irvine, il rampollo di una ricca famiglia dell’Upper East Side, ha ottenuto una posizione di socio in un studio di architetti.
Jean-Baptiste (JB) Marion, figlio di immigrati haitiani, lavora come receptionist in una rivista d’arte del centro nelle cui pagine si aspetta, un giorno, di essere protagonista.
Infine c’è Jude St. Francis, avvocato e matematico, la cui provenienza e le origini etniche sono in gran parte sconosciute anche agli amici, oltre che al lettore.
Willem è d’animo gentile.
Malcolm è un frustrato.
Jean è scaltro e a volte crudele.
Jude è enigmatico e riservato.
Di Jude scopriremo poi che è un trovatello, lasciato in una borsa vicino a un cassonetto ed allevato dai monaci.
Nelle prime cinquanta pagine Willem, Malcolm, Jean e Jude partecipano a feste, visionano appartamenti, si recano ad appuntamenti, spettegolano e litigano tra loro, ed è facile per il lettore pensare che probabilmente si tratta del solito romanzo corale post-laurea.
Un genere con molti illustri antecedenti.
Ma Hanya Yanagihara è una abilissima cronista e conosce bene New York e l’ambizione di gran parte dei suoi abitanti.
Ecco che ben presto diventa evidente che l’autrice ha in mente molto più di un romanzo di formazione.
Il dubbio, a dirla tutta, mi era già venuto pesando sulla mano destra le 1104 pagine del romanzo.
Si doveva per forza trattare di un romanzo con ambizioni piu’ profonde che raccontare storie di carriere e successo nella Grande Mela.
Ci sono anche curiose assenze nel testo.
E questo non nego mi ha incuriosito da subito.
Hanya Yanagihara ripulisce la sua prosa di riferimenti a eventi storici significativi.
Ad esempio gli attentanti dell’11 settembre non sono mai menzionati, né i nomi del sindaco, del presidente o di qualsiasi figura riconoscibile che potrebbe ancorare la narrazione a un particolare anno.
L’effetto è quello di collocare il romanzo in un eterno presente, in cui le vite emotive dei personaggi sono in primo piano ed il quadro politico e culturale diventa uno scenario vago e non fondamentale.
Ma il segno chiarissimo che A Little Life non è quello che ci aspettiamo è il graduale focus del testo sul passato misterioso e traumatico di Jude.
Mentre si sfogliano le pagine, Jude conquista la scena e con Jude al centro, A Little Life diventa un romanzo sorprendentemente sovversivo, che offre una riflessione, vorrei dire meditazione inquietante, sull’abuso sessuale, la sofferenza e le difficoltà di ottenere una seconda chance dalla vita.
E dopo aver scombussolato le nostre aspettative di lettori una prima volta, Hanya Yanagihara decide di farlo di nuovo, rifiutandoci le consolazioni che ci aspetteremo da storie che prendono una piega così dolorosa.
In effetti il primo vero indizio di ciò che ci aspetta arriva a pagina 67, quando Jude sveglia Willem, il suo compagno di stanza, dicendo: “C’è stato un incidente, Willem; Mi dispiace“.
Jude sta sanguinando copiosamente dal braccio avvolto in un asciugamano.
È evasivo sulla causa della ferita e insiste sul fatto che non vuole andare in ospedale, chiedendo invece che Willem lo porti da un amico comune di nome Andy, che è un medico.
Alla fine della visita, dopo aver ricucito la ferita di Jude, Andy dice a Willem: “Sai che si taglia, vero?
Il taglio diventa un leitmotiv.
Ogni cinquanta pagine circa, Jude decide di mutilare la propria carne con una lama di rasoio.
È descritto con una schiettezza che per certi versi fa venire la nausea.
Ha esaurito da tempo la pelle vuota sugli avambracci, e ora ritaglia vecchi tagli, usando il bordo del rasoio per segare il duro tessuto cicatriziale palmato: quando i nuovi tagli guariscono, lo fanno in solchi verrucosi, ed è disgustato, costernato e affascinato allo stesso tempo da quanto gravemente si è deformato“.
Il taglio rappresenta per assurdo una sorta di meccanismo di controllo per Jude di fronte al passato che riaffiora con il profondo abuso che ha subito durante gli anni prima di arrivare all’università.
La natura precisa di quella sofferenza è accuratamente distribuita tra le pagine in una serie di flashback che in un crescendo raccapricciante delinea ciò che ha dovuto subire Jude.
A Jude fu insegnato a tagliarsi da frate Luca, il monaco che lo rapì dal monastero.
Inizialmente, il frate sembrava essere il suo salvatore, allontanandolo da un istituto dove veniva regolarmente picchiato e aggredito sessualmente.
Il frate promette infatti a Jude che andranno a vivere insieme come padre e figlio in una casa nel bosco.
Jude viene liberato da Frate Luca, che però gli ricorda: “sei nato per questo, per subire violenza sessuali“.
E, per molto tempo, Jude crede in un destino segnato e disegnato ed ineluttabile.
Le descrizioni degli abusi e delle sofferenze fisiche raccontate in A Little Life sono rare nella narrativa letteraria tradizionale.
I romanzi che trattano questi argomenti spesso svaniscono quando inizia la violenza.
L’abuso in Lolita, ad esempio, è in gran parte fuori campo, per così dire, o avvolto in modo complesso nella prosa lirica di Nabokov.
In Room di Emma Donoghue, il narratore bambino viene chiuso nell’armadio mentre sua madre viene violentata dal loro rapitore.
È più probabile trovare rappresentazioni sostenute ed esplicite della depravazione nella narrativa di genere, dove gli autori sembrano più liberi di essere meno decorosi.
Lisey’s Story di Stephen King, Girl with the Dragon Tattoo di Steig Larsson e la tortura di Theon Greyjoy in A Game of Thrones mi sono venuti in mente quando stavo leggendo A Little Life.
La rappresentazione della Yanagihara dell’abuso di Jude non è mai eccessiva o sensazionalistica.
La sofferenza di Jude è così ampiamente documentata perché è il fondamento del suo carattere.
Uno dei pochi romanzi paragonabile a A Little Life in questo senso è forse Love Me Back di Merritt Tierce, un feroce libro su una cameriera texana che si taglia e si brucia, abusa di droghe e si sottopone a incontri sessuali degradanti.
Ma quel romanzo, di appena duecento pagine, è un sottile pugnale d’argento, non la spada affilata che Yanagihara brandisce con il suo romanzo di oltre mille pagine.
E a differenza del libro di Tierce, in cui c’è poca tregua per il lettore, la Yanagihara bilancia i capitoli sulla sofferenza di Jude con sezioni estese che ritraggono le sue amicizie e la sua carriera di successo.
Uno dei motivi forse per cui il libro è così lungo è che attinge a questi tratti più chiari per rendere sopportabili quelli più scuri.
Martin Amis una volta chiese: “Chi altro se non Tolstoj ha fatto oscillare davvero la felicità sulla pagina?
E la risposta sorprendente è che Hanya Yanagihara è riuscita ad inserire parti commoventi in A Little Life, facendoci per un attimo dimenticare quelle più brutali.
Momenti teneri nei quali Jude riceve gentilezza e sostegno dai suoi amici.
Ciò che rende sovversivo il racconto dell’abuso e della sofferenza è che non offre alcuna possibilità di redenzione e liberazione al di là di questi teneri momenti.
Ci sbatte in faccia un universo morale in cui la salvezza spirituale non esiste.
Nessuno degli aguzzini di Jude è mai da lui definito malvagio.
Durante i suoi anni di sofferenza, solo una volta ci viene detto che Jude prega “un Dio in cui non credeva“.
In questo mondo senza Dio, l’amicizia è l’unico conforto disponibile.
Naturalmente, l’ateismo non è raro nei romanzi letterari contemporanei, con notevoli eccezioni, come le opere di Marilynne Robinson, pochi libri di questo tipo rimandano a richiami religiosi.
Ma forse è per questo che raramente descrivono la sofferenza estrema, perché è un argomento quasi impossibile con cui confrontarsi direttamente se non si intende offrire un qualche tipo di soluzione spirituale.
Dio ci sussurra nei nostri piaceri ma grida nei nostri dolori: è il Suo megafono a risvegliare un mondo sordo“, ha scritto C. S. Lewis, in The Problem of Pain.
In A Little Life, il dolore non è un messaggio di Dio o un percorso verso l’illuminazione, eppure la Yanigihara lo ascolta comunque con attenzione e lo descrive.
Oltre alla sua laurea in legge, Jude persegue un master in matematica pura.
A un certo punto, spiega ai suoi amici che è attratto dalla matematica perché offre la possibilità di “un assoluto completamente dimostrabile, incrollabile in un mondo costruito con pochissimi assoluti incrollabili“.
Per Jude, quindi, la matematica prende il posto della religione, in un certo senso.
Più tardi, durante uno dei suoi peggiori momenti di sofferenza, Jude si rivolge a un concetto noto come assioma di uguaglianza, che afferma che x è sempre uguale a x.
Il romanzo di Hanya Yanagihara può anche farti impazzire.
Ti consuma e spesso prende il  sopravvento sulla tua vita.
Come l’assioma dell’uguaglianza, A Little Life per quanto oscuro e inquietante, racchiude tanta bellezza.
La lettura, ritengo, sia un’attività da solista.
Ma a volte un libro come questo ti impone richieste così immense che hai bisogno di consolazione da parte degli altri.
Solleciti allora familiari ed amici a leggerlo, lo suggerisci ad altre persone, così da non essere lasciato solo.
A volte arrivano libri che corrispondono ai tempi.
A Little Life è la cronaca perfetta della nostra epoca di ansia, piena di drammi e di confort.
Se l’ansia è il fardello della nostra epoca, allora l’amicizia è il suo balsamo.
L’amicizia è il conforto all’interno delle pagine del romanzo, come lo è in ogni vita lacerata dall’ansia.
E’ l’amicizia che ci salva più e più volte, dal cortile della scuola all’ufficio e oltre, quindi, mi chiedo, perché non ci sono più romanzi e film sul tema dell’amicizia?

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