L’estradizione di Juliane Assange “non avverrà nell’immediato”. Tuttavia, i due giudici dell’Alta corte di Londra si riservano di “ottenere garanzie” dagli Stati Uniti prima di concedere al giornalista e fondatore di Wikileaks il diritto di presentare appello contro la decisione della giustizia britannica di accogliere la richiesta di estradizione presentata dal governo americano. La prossima udienza è fissata al 20 maggio, si legge nell’ordinanza giudiziaria.
Assange è indagato negli Stati Uniti per spionaggio e, se estradato, dovrà affrontare un processo in cui rischia fino a 175 anni di reclusione per aver diffuso documenti diplomatici, dell’intelligence e dei vertici militari americani coperti da segreto, rivelando abusi e crimini commessi in vari contesti internazionali, tra cui la guerra in Iraq e in Afghanistan.
Come scrive l’emittente Bbc, i due giudici di Londra “danno al governo americano tre settimane per garantire che Assange possa fare affidamento sul primo emendamento della Costituzione americana”, quello che garantisce la libertà di parola.
I due giudici dell’Alta Corte chiedono inoltre alle autorità statunitensi di fornire “garanzie” affinché a processo Julian Assange non subisca “trattamenti pregiudizievoli” per via della sua diversa nazionalità. Inoltre, intendono avere rassicurazioni sul fatto che, se il procedimento porterà alla conferma delle accuse, non sia condannato a morte. Se tali garanzie non verranno fornite, i giudici di Londra procederanno con l’accogliere l’istanza di ricorso in appello per annullare il via libera all’estradizione.
Sono state accolte dunque le preoccupazioni dei legali di Assange riguardo all’eventuale trattamento processuale del loro assistito e il rischio che possa essere giustiziato, mentre sono state respinte le argomentazioni e secondo cui il fondatore di Wikileaks è vittima di persecuzione giudiziaria a causa delle sue opinioni politiche.
VOCI DI PATTEGGIAMENTO
Derubricare il reato di spionaggio a “scorretta gestione di documenti riservati”: questa la proposta che sarebbe giunta dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, così come trapelava venerdì scorso dal Wall Street Journal. Stando a “fonti informate sul dossier” citate dalla testata statunitense, la proposta di patteggiamento sarebbe stata inoltrata ai legali del fondatore della piattaforma Wikileaks cinque giorni prima della sentenza dell’Alta corte di Londra, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità del giornalista australiano di presentare ricorso in appello contro il via libera che la magistratura britannica ha dato alla richiesta di estradizione degli Stati Uniti.
Assange è indagato per vari reati connessi allo spionaggio e all’attentato alla sicurezza nazionale per decine di migliaia di documenti riservati diffusi tramite il suo sito web, poi impiegati da varie testate internazionali per inchieste che hanno permesso di denunciare crimini e abusi commessi dagli Stati Uniti dalla prigione di Guantanamo ai conflitti seguiti agli attacchi dell’11 settembre 2001, come Afghanistan e Iraq. Se condannato, Assange rischia fino a quasi due secoli di reclusione. Se invece il reato sarà derubricato a “scorretta gestione di documenti riservati”, come spiega il giornale di Wall Street, Assange potrebbe essere immediatamente scarcerato, dal momento che ha già scontato cinque anni di carcere nel Regno Unito.
Tuttavia, i legali del giornalista hanno negato di essere a conoscenza di tale proposta di patteggiamento e nulla è emerso neanche nella mattinata odierna, quando i giudici dell’Alta corte di Londra si sono pronunciati sull’istanza di presentare appello contro l’estradizione. In un post su X Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta che da anni segue da vicino la vicenda Assange, commenta: “E’ chiara la manovra di fare pressione su Julian Assange”.
Oggi i giudici britannici si sono riservati di decidere il 20 maggio sulla richiesta di appello, dando al governo americano tre settimane di tempo per fornire “garanzie processuali”, tra cui la possibilità per Assange di fare appello al diritto alla libertà di parola e, in caso di condanna, il carcere a vita al posto della pena di morte.
Fonte
Agenzia DIRE
www.dire.it