venerdì, Novembre 22, 2024

Violenza contro le donne: sono già 43 i femminicidi nel 2021

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Non passa giorno, senza che quel triste elenco non si allunghi: a ieri, 11 settembre 2021, sono ben 43 le donne uccise dall’inizio dell’anno, un dato che purtroppo affonda le proprie radici già nel 2020, che sarà ricordato per sempre per esser stato l’anno della pandemia.

Come già rilevato all’inaugurazione dell’anno giudiziario, infatti, nel 2020 si è registrata una riduzione dei reati rispetto al 2019, soprattutto quelli contro il patrimonio o la persona, come furti, rapine e ricettazione, lesioni, percosse e violenze sessuali. La brutta notizia è che però sono cresciuti i femminicidi: a febbraio, già l’Istat confermò nel suo report sulla criminalità in Italia che, nel primo semestre 2020, gli assassini di donne erano stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e raggiungendo il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020. Con un elemento molto preoccupante che vedeva le vittime uccise principalmente in ambito affettivo e familiare (90% nel primo semestre 2020) e da parte di partner o ex partner (61%).

Di fronte a queste cifre tanto indicative quanto drammatiche, c’è da chiedersi quanta strada ancora ci sia da fare prima che le donne siano trattate alla pari e quanto tempo serva affinché si riesca a superare le retoriche di una società di matrice patriarcale, pervasa dalla cultura della discriminazione e sottomissione femminile.

Si pensa comunemente che la parola “femminicidio” sia una invenzione dei giornali per calcare in termini sensazionalistici il fenomeno sociale della violenza di genere. In realtà, il termine fu coniato dalla criminologa Diana Russell, che lo usò per la prima volta 1992, nel libro “Femicide”, spiegandone così il significato come categoria criminologica: “Il concetto di femmicidio si estende aldilà della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.

In Italia il termine ha avuto un utilizzo massiccio a partire dal 2008, quando Barbara Spinelli, consulente dell’ONU in materia di violenza sulle donne, ha pubblicato un libro dal titolo “Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale”. Il termine  – come si legge sulla pagina dell’Accademia della Crusca – è attestato in Devoto-Oli 2009, in Zingarelli a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online e definisce “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

Nel nostro Paese, tuttavia, questo termine indica esclusivamente l’omicidio di una donna, benché sul piano giuridico non esista il reato di femminicidio, che si identifica con l’omicidio volontario. Pertanto, l’uccisione di una donna per odio di genere nel nostro ordinamento non è normata.

Continuano ad essere troppe, però, le donne uccise in Italia dal compagno, dall’ex compagno o dai famigliari. Troppe le percosse, le violenze, gli abusi e i maltrattamenti così risonanti agli occhi della vittima all’interno di quelle ineluttabili mura domestiche, ma così silenziosi agli occhi delle istituzioni.

Gli ultimi due terribili episodi risalgono ai giorni appena trascorsi. Ieri, una donna è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco a Noventa Vicentina, in provincia di Vicenza: la vittima si chiama Rita Amenze, 31enne di origini nigeriane, mentre l’autore del mortale agguato, nel parcheggio della ditta Mf Funghi, sarebbe stato l’ex marito, un uomo italiano di 61 anni, tutt’ora in fuga con la sua auto.

Un nuovo femminicidio è stato commesso anche giovedì, in Sardegna. Angelica Salis, 60 anni, è stata uccisa nella loro abitazione a Quartucciu, nell’hinterland di Cagliari, dal marito di 67 anni, che avrebbe accoltellato ripetutamente la moglie e poi lui stesso avrebbe chiamato i carabinieri. Quando i medici del 118 sono arrivati in casa non hanno potuto fare nulla perché la donna era già morta.

E’ molto difficile provare a commentare, a capire come arginare questa tragedia che si ripete, nonostante il varo di leggi sempre più rigorose e mirate, ultima delle quali l’arresto in flagranza dei violenti che violano il divieto di avvicinamento alle proprie vittime. Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato, ha dichiarato: “Uccidere una donna perché non la si può possedere è inaccettabile, in qualunque luogo, circostanza, paese, civiltà o tempo accada. E non possiamo arrenderci a questa barbarie, anche se sembra inarrestabile”.

Alcune sono morte per un amore malato, altre uccise da chi diceva di amarle, per un ‘no’, per un rifiuto, semplicemente perché non si accetta la fine di una relazione. Non sono le donne a dover imparare a difendersi, ma forse gli uomini a dover imparare ad amare.

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